Miura: l’icona dell’automobilismo compie 50 anni

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Lamborghini Magazine n. 18 (1-2016).

Quest’anno cade un anniversario importante, mezzo secolo dalla presentazione della Lamborghini Miura al Salone dell’Automobile di Ginevra del marzo 1966. Per commemorare l’evento, particolarmente sentito dagli appassionati di auto storiche e sportive, ho scritto un editoriale sulla rivista Auto d’Epoca, che riporto in calce.

Soprattutto mi è stato commissionato un articolo sul tema dalla prestigiosa rivista Lamborghini Magazine, organo ufficiale della mitica marca di Sant’Agata Bolognese. L’articolo è poi stato pubblicato su Lamborghini Magazine 18 (1-2016) nella rubrica Yesterday’s Hero.

“50 anni fa, nel marzo 1966, la Miura debuttava al Salone di Ginevra. Che fosse destinata a mettere in discussione il concetto stesso di auto sportiva era evidente.”

Nomen omen, il destino in un nome. Come quel Miura, che Ferruccio Lamborghini scelse lì per lì e che forgiò una dinastia di sportive purosangue.”

“Tra i clienti anche il principe Ranieri, re Hussein di Giordania, il principe saudita Faisal, lo Scià di Persia.”

Si capisce che vado fiero di quell’articolo? 🙂
Non solo, non resisto alla voglia di riportare (lo so è un vezzo, ma adoro fissare nella memoria frammenti di vita) la nota biografica pubblicata in calce all’articolo (qui però in forma integrale). Ha un sapore di amarcord, non trovate? (se vi incuriosisce, date un’occhiata a “come e perché” è nato questo sito).

Autore Michele Catozzi, Venezia, IT
“Il suo primo giornalino lo realizzò all’età di 10 anni con la macchina da scrivere di un amico. Si fermò al numero 0. Allo stesso periodo risale un tentativo di romanzo giallo. Entrambi andarono, per fortuna, perduti. Col tempo ci ha riprovato, con maggiore successo, al punto che da 28 anni non manca mai l’appuntamento con i lettori firmando l’editoriale del mensile
Auto d’Epoca, rivista di cui per 25 anni è stato direttore responsabile. Di recente, memore di quell’antico tentativo, ha preso il vizio di scrivere romanzi gialli ambientati a Venezia.”

(Il testo che segue, qui parzialmente adattato, è stato pubblicato, nella forma di editoriale dal titolo “Mezzo secolo di Miura”, sulla rivista Auto d’Epoca di Marzo 2016)


Anniversario coi fiocchi, quello che cade in questi giorni. Era infatti a marzo del 1966 che al salone di Ginevra, nello stand Bertone, compariva un veicolo destinato a cambiare per sempre l’idea di automobile sportiva: la Lamborghini Miura.

Artefici di quel portento erano tre giovani di belle speranze: Giampaolo Dallara e Paolo Stanzani, ingegneri della neonata casa automobilistica di Sant’Agata Bolognese che avevano allestito un sorprendente telaio con motore in posizione trasversale posteriore, e Marcello Gandini, da poco approdato alla Bertone al posto di Giorgetto Giugiaro. Il telaio nudo era apparso allo stand Lamborghini al Salone di Torino del 1965, con la benedizione di Ferruccio. Appena lo aveva visto, Nuccio Bertone, uomo di gran fiuto, non se l’era fatto scappare, e in meno di quattro mesi il prototipo della Miura era pronto.

Dopo un avvio di produzione faticoso, la Miura prese infine la sua forma definitiva e gli impianti andarono a regime. Fu in particolare il jet set internazionale a sommergere di ordinativi la Casa di Sant’Agata: per alcuni anni la Miura fu la sportiva più ambita da attori, cantanti, re, principi e magnati che avevano in comune un sola cosa, la grande disponibilità economica. Dopo oltre 760 esemplari costruiti su tre serie (P400, S e SV), fu pensionata anzitempo dalla discesa in campo della Countach, le cui linee spigolose erano tutto l’opposto dell’armonia disegnata da Gandini.

Immagine ufficiale della Miura (Foto Carrozzeria Bertone).

La fantastica avventura della Miura ha molto da insegnarci su quel “branding” ante litteram messo in opera da Ferruccio. Ad esempio per il nome. Lo spagnolo don Eduardo Miura possedeva un famoso e antico allevamento di tori da corrida. Si dice che quando seppe del bolide di Sant’Agata che portava il suo nome, si adombrò. D’altra parte, non era un nome da poco: era infatti proprio un Miura il toro che nel 1947 uccise Manolete, il torero più famoso di tutti i tempi. Il nome di quel toro era Islero. Vi ricorda qualcosa? E Murcielago? O Diablo? Altri modelli Lamborghini, altri tori Miura.

Ferruccio, si racconta, andò dunque in visita al “rancho” Miura con uno dei primi esemplari della sua supercar, col risultato che Eduardo e Ferruccio diventarono grandi amici. In realtà, pare proprio che i due si conoscessero e stimassero già da prima. Quel che è certo, è che il suggestivo servizio fotografico realizzato all’epoca venne ampiamente sfruttato a fini promozionali. 

Mezzo secolo non è poca cosa. Certo, non ho ricordi diretti del salone, ma della Miura, sì. Fu per me un colpo di fulmine. La prima, una P400 di un fantastico oro metallizzato, arrivò a casa mia nel Natale del 1967. La seconda, rosso metallizzato, giunse in quello del 1968. Sì, perché a casa mia le macchinine le portava sempre Babbo Natale mentre i compleanni erano considerati giorni poco più che normali. Per la precisione, quella del 1967 era una “Serie A20” della Mebetoys, l’altra una “Serie M552” della Politoys. Quest’ultimo modellino, che costava ben 1.200 lire, giustificate fino all’ultima dall’estrema cura nei dettagli, era noto come quello delle “sei aperture”: cofani, portiere, bauletto posteriore e griglia anteriore destra di accesso al bocchettone della benzina.

Per quanto mi riguarda, la definitiva ascesa all’olimpo della Miura coincide con la sua comparsa nella lunga sequenza iniziale di “The Italian Job”, il brillante film d’azione del 1969 con Michael Caine. Lo vidi al cinema, credo nel 1970, quando ancora non era considerato di culto. La Miura della scena iniziale viene fatta schiantare dalla mafia contro un bulldozer dentro una galleria e poi gettata in un dirupo. Confesso che soltanto ora, 45 anni dopo, ho saputo che la Lamborghini aveva fornito alla produzione due esemplari, uno dei quali era già incidentato ed è proprio quello buttato nella scarpata. 

È invece notizia recente che l’altro esemplare è stato ritrovato intatto da due inglesi. Forse. Ma questa è un’altra storia.

Michele Catozzi

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