Italian Job 1969: di romanzi e film d’azione, di rapine cibernetiche, e del non ci sono più le bandelle di una volta

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Altra locandina.

Qualche tempo fa ho scorto su una bancarella un romanzo Garzanti del 1969, tascabile della collana viola R69: “Un colpo all’italiana”, sottotitolo “Rapina del secolo alla Fiat”, autori Troy Kennedy Martin e Ken Wlaschin. Il volumetto è subito finito nelle mie tasche (dopo aver pagato senza batter ciglio qualcosa come cinque esosissimi euro, purtroppo l’arte della contrattazione mi è sconosciuta).

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La sovraccoperta di “Un colpo all’italiana”, Garzanti viola R69.

Un passo indietro. Era il 1969 o il 1970. Il cinema era di quelli da seconda, se non da terza visione, un brutto edificio incastrato in fondo a una stradina senza uscita della prima periferia cittadina. Capitol, si chiamava, come centinaia di altre anonime sale cinematografiche dell’epoca. Eppure per me era “il” cinema.

Mio fratello un giorno mi portò a vedere Un colpo all’italiana. Di quel periodo ricordo benissimo altri due titoli: Tora Tora Tora del 1971, un classico film di guerra sull’attacco a Pearl Harbour, e Giù la testa del 1972, il meno western dei film western di Sergio Leone con la solita memorabile colonna sonora di Ennio Morricone.

Un colpo all’italiana, o The Italian Job, come imparai solo tanti anni dopo, lasciò il segno. Un film d’azione e brillante, con un Michael Caine effervescente e con protagoniste tre Mini utilizzate per trafugare il bottino di una rapina miliardaria a Torino.

La trama? Parla la bandella del romanzo (che, va detto, è tratto dal film del 1969 – diretto proprio da T. K. Martin – e da questo si discosta per alcuni dettagli, tra cui il finale, che nel film rimane aperto e predispone a un sequel, che purtroppo non c’è mai stato, con Michael Caine che dice “Aspettate un momento, ragazzi, mi è venuta un’idea”):

Centro delle operazioni: Torino. Posta: un camion blindato della Fiat che trasporta oro cinese per 4 milioni di dollari. Strategia: alterazione programmata del cervello elettronico che controlla il traffico torinese in modo da provocare il più gigantesco ingorgo del traffico che si sia mai verificato.

I rapinatori sono una banda di inglesi capitanata da Charlie Croker (alias Michael Caine). Per inciso, l’oro è in pagamento di un fabbrica che la Fiat ha costruito in Cina, quando si dice essere d’attualità…

Ancora dalla bandella:

Un colpo all’italiana è una rapina cibernetica, uno scippo scientifico tradotto in un thrilling frenetico, tutto dialogo e azione, colpi di scena e zuffe, sesso e sadismo comico. E’ il ‘bondismo’ che giunge alla fase incandescente e, insieme, alla sua totale demistificazione.

A parte quel “thrilling” al posto di “thriller” (ma nel ’69 l’uso come sostantivo era fatto normale, ne sono testimone visto che mia madre era una grande appassionata proprio di thrilling…), quell’ultima frase è un vero pezzo di sintetica bravura e tradisce il fatto che dietro la bandella poteva celarsi un critico letterario piuttosto che un’anonima penna di redazione. Con buona pace del lettore di bocca buona che, forse, non era molto attirato da termini come bondismo o demistificazione.

Insomma, non si scrivono più le bandelle di una volta.

Altra locandina.
La locandina originale del 1969 nella versione britannica.

Negli anni successivi ho rimosso del tutto il titolo del film, ma le Mini (una rossa, una bianca e una blu, sempre in quest’ordine) che sfrecciavano lungo le vie del centro di Torino, o volavano letteralmente da un palazzo all’altro, mi sono rimaste impresse. Gli stuntmen, quella volta, avevano fatto davvero un lavoro egregio.

All’epoca la Fiat si offrì di fornire gratis tutte le 500 necessarie alla produzione, da usarsi al posto delle Mini, oltre a una Ferrari, a una Lamborghini e a 50.000 dollari. Ma per il regista il film doveva essere molto “britannico” e le inglesissime Mini erano essenziali per giustificare un tema quale “inglesi contro europa”. Le Fiat non c’entravano nulla. E la cosa buffa è che la BMC, costruttrice delle Mini, non regalò niente e fece pagare alla produzione ogni vettura fornita. Ciò nonostante, la Fiat collaborò donando una serie di auto per le riprese, oltre che ospitare una famosa sequenza sul tetto del suo Lingotto.

Nel 2003 Hollywood ha realizzato uno stupido remake, con le nuove Mini, ambientato a Los Angeles. Inguardabile, oltre che filologicamente scorretto. Ricordo anche un simpatico spot del 2007 della Grande Punto, The Italian Job Remixed, con tre vetture di colore verde, bianco e rosso, che ricalcano alcune sequenze del film originale (inclusa la scena sul tetto del Lingotto). Infine il corto del 2012 The Britalian Job realizzato in occasione delle Olimpiadi di Londra, con le nuove Mini, ispirato al film ma girato e montato in maniera dilettantesca e che risulta di una noia mortale.

Locandine del film.
La locandina del 2009, realizzata in occasione del 40° anniversario.

Il film originale resta una perla della cinematografia, inserita negli elenchi dei migliori film britannici di tutti i tempi (anche se in Italia passò quasi sotto silenzio). Un felice incontro tra snobismo britannico e creatività italiana girato in quella che all’epoca era, nonostante i problemi che già si profilavano all’orizzonte, la capitale della nostra industria automobilistica.

Oltretutto, durante le riprese, Torino era ancora fresca dei fasti dell’Expo 1961 (anche nota come Italia ’61) organizzata per celebrare il primo centenario dell’Unità d’Italia, e non a caso le Mini di Italian Job sfruttano, durante la fuga, anche il tetto del palazzo a Vela, una delle icone dell’Expo, insieme al palazzo del Lavoro, alla monorotaia Alweg, al Circarama Disney (cinema a 365° offerto proprio dalla Fiat) e alla funivia che collegava il parco del Valentino passando sopra il Po.

Fulgidi anni, purtroppo lontani e irripetibili, anni di un’Italia in pieno boom economico e di italiani pervasi da energie vitali. Anni in cui nelle bandelle ci potevi ancora trovare frammenti di critica letteraria e la pratica delle fascette surreali era ancora di là da venire.

(Il presente testo, in una versione più sintetica e più “auto”-centrica, è stato pubblicato, nella forma di editoriale dal titolo “Colpo all’italiana”, sulla rivista Auto d’Epoca di Maggio 2015)

[Update 4/6/2016: la Lamborghini Miura schiantata dalla mafia in una scena iniziale del film non era un esemplare funzionante, ma un relitto. Meno male…]

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