Un romanzo per non dimenticare il Petrolchimico

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Marea tossica non avrebbe potuto avere migliore relatore di Gianfranco Bettin alla presentazione del 25 ottobre alla Libreria Ubik di Mestre. Ho contattato Bettin, memoria storica di Marghera ed esperto delle vicende del Petrolchimico (cito soltanto Petrolkimiko, Le voci e le storie di un crimine di pace, Baldini & Castoldi 1998, da lui curato, e rimando al post di anteprima della presentazione per ulteriori dettagli), perché non poteva che essere lui ad affiancarmi in questa prima uscita pubblica del romanzo. Gianfranco ha accettato con entusiasmo e sono felice di averglielo chiesto.

La presentazione è andata molto bene, la libreria era piena, in sala anche un magistrato e un sindacalista, un poliziotto e un giornalista, insegnanti e docenti universitari, ma soprattutto i due ex operai Vinyls protagonisti del documentario Il pianeta in mare di Andrea Segre di cui ho parlato diffusamente nel post dedicato alla recente proiezione del film al “capannone” del Petrolchimico, Nicoletta Zago e Lucio Sabbadin. Dulcis in fundo, in prima fila sedeva Maurizio Dianese, nerista del Gazzettino di Venezia e coautore proprio con Bettin di un importante libro sulla tragedia del Petrolchimico, quel Petrolkiller (Feltrinelli 2002) che è stata una tra le mie fonti principali di documentazione per le vicende narrate nel romanzo. Per chi fosse interessato alle mie fonti, rimando alla lunga Nota autore pubblicata all’interno di Marea tossica.

Una serata entusiasmante (probabilmente, anzi di sicuro sono di parte, e ci mancherebbe) che da sola mi ha ripagato della lunga e faticosa gestazione del romanzo. Una serata che Alessandro Tridello, l’appassionato libraio della Ubik di Mestre senza il quale l’evento non sarebbe stato possibile (e che si era poco prima scatenato con una vetrina “creativa” piena di Marea tossica) ha suggellato con un enorme sorriso di soddisfazione. Alessandro ha anche detto che sono “ormai il beniamino della libreria” e che “la Ubik di Mestre mi vuole molto bene”. Ricambio con affetto.

Ma andiamo con ordine. Bettin, come previsto, è stato un relatore davvero impeccabile che non solo ha dimostrato una grande padronanza delle tematiche legate a Porto Marghera e al Petrolchimico, ma anche una capacità di analisi del testo davvero fuori dal comune. Il lettore mi perdonerà se riporterò alcuni stralci dei suoi interventi (e di quelli del pubblico), un piccolo florilegio che ho potuto recuperare grazie a una registrazione di fortuna (e che ho tentato di riportare il più fedelmente possibile compatibilmente con le problematiche di trascrizione). Aggiungo che il suo intervento è stato accompagnato dalle letture di alcuni brani del romanzo fatte dalla bravissima Stefania dell’associazione Voci di Carta. Il virgolettato è di Bettin, salvo ove diversamente indicato.

Io, Gianfranco Bettin e Stefania, la lettrice di Voci di Carta. (Foto Ubik Mestre)

«Tutte le inchieste di Aldani si configurano come interne alla tradizione del genere, ma poi acquistano significati molto legati alla storia di Venezia e in sintonia con l’attualità, come la vicenda del Mose o della banda Maniero o, come in questo caso, una vicenda, quella del Petrolchimico, di grandissima importanza, forse anche maggiore rispetto alle precedenti.»

«Se si potesse entrare dentro l’area del Petrolchimico come si va in qualunque altra parte della città si potrebbe percorrerla con precisione seguendo le dettagliate descrizioni del romanzo. Credo sia la più completa ricostruzione in chiave letteraria del paesaggio del Petrolchimico

«La scrittura di Catozzi è una scrittura generosa, che dà molto e che dice molto, una generosità di cui si giova il lettore.»

«C’è poi l’uso del dialetto, i cui inserti apportano un senso di vita autentica che entra dentro il romanzo e che si lega bene con l’italiano del resto della storia. Questo fa la differenza e profila il commissario Aldani dentro il variegato e ricchissimo panorama della narrativa noir. È spesso il dialetto bastardo che parliamo in terraferma, un mix del vecchio veneziano con apporti dalla città meticcia che siamo da sempre e che quindi tende a non irrigidirsi in una forma, a creare una certa musicalità che deriva dall’utilizzo, non da una struttura classica di lingua dialettale.»

«Un tipo di scrittura che fa funzionare il racconto, che trascina il lettore dentro la storia e affabula con la generosità della lingua e i dettagli delle descrizioni.»

«Nella scrittura prevale la ricchezza del racconto che non ha gli alti e bassi scanditi dalla secchezza delle frasi o dall’intensità dell’effettaccio splatter ma fa emergere l’intensità, l’effettaccio, o quella secchezza dalla materia stessa di cui l’autore parla tenendo un costante registro letterario e questo conferisce originalità e autenticità al romanzo.»

«Nella narrazione spicca il forte ruolo dei paesaggi, così come anche nei libri precedenti, in cui erano più centrati sulla Venezia storica o sulla laguna, mentre qui lo sono sulla città industriale, su Marghera, sia quella storica che quella dell’attuale fase di transizione

«In tutto il romanzo c’è un grande rispetto per la storia di una parte importante della città, per la storia di questa comunità e dei suoi personaggi. C’è il rispetto del commissario, dichiarato, ma c’è anche il rispetto specificamente letterario che si evince dalla grande cura e attenzione riservate ai personaggi, anche quelli apparentemente minori, nessuno di loro è trattato in modo sbrigativo. Il rispetto più importante che uno scrittore può dimostrare verso i propri personaggi è quello di scriverne bene, nel senso di usare le parole appropriate, scegliendo quelle giuste per descrivere proprio quella persona, non “gli operai”, ma “quell’operaio”, ciascuno nella propria, distintiva, specifica, diversa caratteristica. Ci saranno almeno una ventina di operai di quel mondo che vengono raccontati nel romanzo e tutti sono trattati in maniera molto accurata, che significa rispettabile, sulla pagina, evitando cioè i soliti luoghi comuni. Mi capita in questi mesi di girare sia per il film di Segre che per il mio romanzo e mi imbatto spesso nei luoghi comuni. Un buon modo, un modo forte dal punto di vista letterario per contrastare i luoghi comuni è quello di scrivere in modo appropriato.»

A questo punto mi sono sentito di commentare la felice concomitanza dell’uscita dell’ultimo romanzo di Bettin, Cracking (Mondadori, 2019), mentre stavo completando la revisione di Marea tossica, per non parlare della recentissima uscita del documentario Il pianeta in mare. Oltretutto, giusto il giorno prima Gianni Favarato aveva firmato su La Nuova Venezia un bel pezzo dal titolo “Il Petrolchimico e Marghera ispirano scrittori e registi” che riporto qui sotto con orgoglio.

Il titolo dell’articolo su La Nuova Venezia del 24 ottobre 2019, a firma Gianni Favarato.

Nell’articolo Favarato coglie la coincidenza dell’uscita di alcuni romanzi su Marghera e Venezia e del documentario. Un onore per me essere affiancato a scrittori di fama come Bettin e Ferrucci.

Favarato, fonte inesauribile su Porto Marghera, è peraltro il coautore di un altro libro essenziale per la documentazione di Marea tossica: Processo a Marghera. L’inchiesta sul Petrolchimico, Nuovadimensione – Ass. G. Bortolozzo 2002. Anche in questo caso rimando alla mia Nota autore in Marea tossica.

 

 

 

 

 

Commenta Bettin a proposito di queste coincidenze. «Speriamo sia un segno anche di attenzione più generale per Porto Marghera, questa è una fase importante della sua storia. Sono realista, ci sono grandi potenzialità e credo di intuire come si possa valorizzarle, dobbiamo spingere in questa direzione. I racconti, i film, i romanzi, i gialli, i noir, tutto serve per non dimenticare. Il nemico principale di Porto Marghera da un certo punto in poi è stato sempre la rimozione, l’indifferenza, il lasciare i lavoratori soli ad arrangiarsi. Ci sono qui Lucio e Nicoletta, Davide Camuccio segretario dei chimici CGIL di Venezia. Perché si sono dovuti inventare di tutto e di più per attirare l’attenzione sulla vertenza Vinyls? Perché la città l’aveva rimossa, aveva rimosso il Petrolchimico che soltanto pochi anni prima avrebbe potuto scendere in strada e bloccare l’intera area industriale. Oggi bisogna rilanciare l’enorme potenziale di Marghera. Magari anche leggendo un libro come questo, che attraverso il piacere di una storia noir, tra la curiosità di sapere come va a finire e personaggi a volte divertenti, ti costringe a chiederti anche di quell’altra storia.»

In finale di serata ci sono state alcune domande del pubblico. Ne riporto un paio.

(Foto Nicoletta Zago)

Anthony: «Questa azione di depositare in forma scritta aspetti che non sono noti è importantissima. Nel romanzo ci sono brani di saggistica, ci sono approfondimenti sugli impianti e poi c’è la storia gialla, in questo modo la materia diventa leggera e scorre. Fuori da Porto Marghera si sa che esistono questi luoghi, ma non sono mai stati descritti così in dettaglio. In questo modo si creano storie, si crea “la” storia, che rimane.» E ancora: «I miei studenti mi chiedono spesso di organizzare una visita di sera agli stabilimenti. Noi da ragazzi ci andavamo di notte per vedere i camini illuminati.»

Anche io, ci andavo… Il fascino estetico del Petrolchimico.

Alberta: «Ho letto tutti e tre i romanzi di Catozzi e gli elementi del paesaggio, i momenti di dialogo non secco e scabro ma coinvolgente e le denuncie sociali, fatte passare attraverso il vincolo di una storia noir, tutto questo mi ha sempre fatto pensare a Ed McBain, l’americano di origini italiane padre del police procedural. È veramente notevole per me vedere per la prima volta nel noir italiano tutti insieme questi elementi. Finora, così ben compenetrate tra loro, le avevo trovate solo lì.»

La fase concitata del firmacopie dopo la presentazione.

Aggiunge Bettin, che ho scoperto essere, al pari di Alberta, un grande appassionato dell’autore americano: «Con McBain c’è l’elemento della dimensione collettiva della squadra che è più forte che in altri autori. Una sorta di collettivo che è anche un microcosmo e nei romanzi di Catozzi questo c’è. Non c’è soltanto Aldani ma anche tutti gli altri personaggi della squadra, partendo da Manin per finire con il piemme. Anche la città, così come i luoghi, anche quelli non abitati, come la Marghera dell’abbandono, sono personaggi forti».

Mentre firmavo gli ultimi autografi, Nicoletta e Lucio mi si sono avvicinati per scambiare due chiacchiere. A un certo punto Nicoletta ha esclamato: «Il romanzo di Bettin, poi il film di Segre, poi il tuo romanzo, e tu lo leggi, con dovizia di particolari, che mi sembra di stare dentro agli impianti, che io li conosco tutti quegli impianti, ci ho lavorato 25 anni, li ho girati in lungo e in largo, e leggendo la tua descrizione, mi ci sono ritrovata. Dentro la mia testa il Petrolchimico era proprio così».

C’era un modo migliore di concludere la serata?

Tradizionale foto ricordo, tra Gianfranco Bettin e Alessandro Tridello. (Foto Ubik Mestre)
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