Il commissario Livio Bacci e i suoi nostalgici anni ’80

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Qualche mese fa mi sono ritrovato nell’inedita veste di “presentatore” di un romanzo. Per me era la prima volta e il caso ha voluto che l’incontro si tenesse alla Libreria Coop di Pesaro, cioè nello stesso luogo – e a distanza di un anno esatto – in cui si è tenuta la prima presentazione di Acqua morta, anche quella per me un’esperienza inedita.

È così che il 21 ottobre scorso, davanti a un folto e attento pubblico (merito degli autori, non certo mio), ho cercato di raccontare il primo romanzo giallo di Giovanni e Francesco Belfiori, due fratelli originari di Fano (PU) e figli di un poliziotto della Stradale: Le parole mute del tempo, pubblicato da Novecento Editore nella collana Calibro 9, diretta dal noto giallista Paolo Roversi.

Francesco Belfiori.
Giovanni Belfiori.

Il protagonista è il commissario Livio Bacci che lavora nella squadra giudiziaria della Polizia Stradale di Fano, una cittadina adriatica che insieme a Pesaro ancora risente degli influssi della riviera romagnola. Che la città sia Fano, lo si intuisce, anche se nel romanzo non è mai nominata esplicitamente.

Non racconterò la trama. Basti sapere che la narrazione si alterna tra il presente e i ricordi di una vecchia indagine risalente ai primi anni Ottanta sulla scomparsa di una ragazza, una liceale compagna di classe di Livio. In effetti, il romanzo è l’occasione per gli autori di reimmergersi nel clima di quel periodo e la narrazione è ricchissima di citazioni e riferimenti culturali d’annata, quasi un romanzo di formazione sull’onda di un malinconico amarcord anni ’80 e degli spensierati anni della scuola.

Il taglio nostalgico è evidente in questo passaggio, in cui Livio parla davanti allo specchio:

“Ma dove sono finiti quegli anni, quella speranza che ci animava, all’infinito correva il nostro treno, e poi sono passate una dopo l’altra tutte le stazioni, senza che mai ci fermassimo, il tempo ci sembrava una variabile di cui non tener conto e invece era un orologio distratto che solo oggi ci consegna tutte le illusioni, tutti i rimpianti, gli amici andati, le vite brevi, i fondi di bottiglie già bevute.”

L’indagine del 1983 era stata condotta dal commissario capo Cosimo Labufala, del commissariato di Fano, che sarebbe diventato suo malgrado il mentore dello studente Livio Bacci il quale, forse proprio per questo, avrebbe deciso di diventare poliziotto. In questo pezzo parla Labufala, una specie di filosofo appassionato di poker e di scacchi:

“Poi ci sono due sottoinsiemi, uno è quello degli sbirri, l’altro quello dei pulotti. Pulotto è chi crede che per avere dignità, forza e perfino per avere il controllo delle cose, una divisa aiuti. E giustifichi anche un certo senso di onnipotenza. Sbirro è, invece, chi lavora con dignità e conosce il valore della forza, in positivo e in negativo.”

La vecchia indagine si riflette naturalmente nel presente e sarà Livio Bacci a prenderne in mano le redini, portandolo ad affrontare gli ex compagni di scuola. È un poliziotto della Stradale, ma si sente pienamente uno sbirro nell’accezione di Labufala:

“Siamo razza bastarda, servi dei servi ci chiamano, e hanno ragione, metto questa divisa in nome di uno Stato che mi tratta da servo, e carogne siamo tutti, per un pugno di euro abbiamo una vita di orari impossibili e di illusioni buttate via come vuoti a perdere.”

Work in progress…

Al di là della trama gialla, un romanzo che costringe il lettore a ripensare agli anni spensierati della scuola, alle tante speranze e ai tanti progetti, quasi mai realizzati, a “quell’età irripetibile, mervigliosa, dolorosissima”. Lo costringe, insomma, a fare un bilancio della propria vita.

Da presentatore in erba quale ero, ho utilizzato la mia consolidata abilità nello stendere schemi e diagrammi (gli appunti per i romanzi di Aldani pullulano di schemi…) per organizzare le idee e segnarmi i passaggi più interessanti, con tanto di numeri di pagina e il supporto degli immancabili post-it. Anche perché, stranamente, il romanzo è privo della tradizionale struttura a capitoli, e questo non ne facilita la lettura a spezzoni.

In conclusione, ottimo esordio per i fratelli Belfiori (per inciso, Giovanni è ideatore e direttore del Passaggi Festival della Saggistica di Fano) e mi auguro di leggere presto una nuova indagine del commissario Livio Bacci.

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