Repubblica TV ospita una mia breve intervista in occasione dell’uscita oggi in edicola di Acqua morta nella collana Italia Noir di Repubblica. Nell’intervista cerco di raccontare il mio romanzo e ciò che scrivo. Venezia è, ovviamente, al centro delle mie parole…
È possibile anche consultare la pagina con l’archivio di tutte le interviste agli autori dei romanzi che sono stati scelti per far parte della collana Italia Noir.
Se, come me, preferite leggere piuttosto che guardare, ecco allora il testo originale dell’intervista, arricchito di qualche passaggio che alla fine non è potuto “entrare” nel video definitivo.
Testo dell’intervista pubblicata il 16 gennaio su Repubblica TV
IL NOIR
«Che cos’è per me il noir? È una buona scusa per indagare la realtà, anche perché scrivere un saggio sarebbe molto meno divertente…
Al di là della battuta, non credo che i lettori siano molto interessati a tassonomie e classificazioni.
A ogni modo, io scrivo romanzi polizieschi, attenti alle modalità operative delle forze dell’ordine (nel mio caso la Polizia di Stato) in una realtà molto, ma molto particolare qual’è quella della città di Venezia, dove, ad esempio, le volanti sono dei motoscafi.
Insomma, i miei romanzi sono dei police procedural in salsa veneziana con un vago sapore sociale».
IL ROMANZO
«Acqua morta è il primo romanzo in cui compare il commissario Nicola Aldani, in forza alla Questura di Venezia, Squadra mobile, Sezione Omicidi, naturalmente.
Il mio commissario è un poliziotto normale, con una moglie e tre figli, alle prese con i soliti problemi familiari, un trasloco difficile ma soprattutto con la quotidianità del lavorare a Venezia, dove anche le azioni più semplici diventano complicate.
In una città soffocata dall’afa innaturale di un’estate precoce, Aldani si ritrova per le mani il caso di un suicidio eccellente che tutti vorrebbero archiviare al più presto. Ma le indagini, com’è d’obbligo, si complicano in fretta.
L’inchiesta porta alla luce pericolosi intrecci tra affari e politica che somigliano molto allo scandalo MOSE. Ma il romanzo l’ho scritto nel 2012 e la tangentopoli veneziana sarebbe esplosa soltanto due anni dopo, con la famosa retata del giugno 2014 che avrebbe decapitato i vertici della politica e dell’imprenditoria veneta. Preveggenza? No, bastava soltanto leggere i giornali.
Venezia è una coprotagonista ingombrante ma ineludibile. Incombe sull’indagine e sui personaggi. Acqua morta è dunque anche un romanzo di dense atmosfere. Ci sono gli odori della laguna e dei canali, i palazzi decadenti, un pizzico di dialetto, le imprecazioni dei gondolieri, le trattorie fuori dalle rotte turistiche. Da questo punto di vista la città è una comprimaria eccezionale. Il rischio, semmai, è quello di cadere nella facile trappola del “pittoresco”.
Ma la Venezia di Acqua morta non è quella delle cartoline. Il romanzo è pieno di rabbia. La città oggi vive un momento molto difficile, col numero dei residenti che cala a vista d’occhio, assediata dal turismo di massa e dalle navi da crociera, ma soprattutto alla mercé di faccendieri senza scrupoli che vorrebbero trasformarla in un gigantesco albergo.
Che dire? Se anche la voce sopra le parti di Salvatore Settis resta inascoltata, be’, siamo davvero nei guai.
Prendo a prestito le parole del commissario Aldani:
“Il futuro di Venezia è un luna park per turisti, quello dei veneziani è la terraferma”»