L’Aqua Granda del 1966

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Cinquant’anni fa, mentre il nord e il centro dell’Italia era travolto dall’alluvione, Venezia veniva sommersa da un’ondata di marea senza precedenti. Quel giorno vi fu una sfortunata concomitanza di eventi: persistente vento di scirocco, pioggia ininterrotta per giorni, fiumi afferenti alla laguna gonfi d’acqua, bassa pressione atmosferica e infine forte alta marea. Fu così che alle ore 18 il mareografo di Punta della Salute segnò 194 cm.

I danni furono gravissimi, soprattutto al patrimonio culturale, ma anche alle attività economiche e alle abitazioni private. La città rimase isolata per ore. Fu allora che ci si accorse di quanto Venezia fosse stata trascurata e abbandonata a se stessa.

Io di quel 1966, in cui avevo soltanto sei anni, non ricordo quasi nulla. Invidio coloro che vantano ricordi antichi. Di quell’anno perciò ricordo soltanto me stesso che vergavo una data di novembre 1966 sul quaderno (andavo in prima) e la recita scolastica natalizia in cui impersonavo uno degli osti di Betlemme che negavano una stanza a Maria e Giuseppe (una parte che si riduceva a una singola battuta, tipo: “No, non c’è posto”). Fine. Ricordo però nitidamente – strano – che l’estate di due anni dopo, quella del 1968, quando Celentano dalla radio e dai jukebox imperversava con il treno dei desideri, il baobab e l’oratorio del suo Azzurro, canzone che ancora ricordo quasi a memoria, si andò in vacanza a Frassenè, un minuscolo paesino del bellunese vicino ad Agordo. Un giorno facemmo una gita nella vallata vicina, traversammo il passo di Forcella Aurine e svalicammo a Gosaldo, paese di montagna divenuto il simbolo minore ma non meno angosciante dell’alluvione di quel 4 novembre. Scoprii con stupore lo squasso ancora evidente, nonostante fossero passati quasi due anni, provocato dalla furiosa esondazione dei torrenti, con tronchi divelti ovunque, pietre e sassi enormi spostati dalla prepotenza dell’acqua, strade mezze distrutte, paese e frazioni semi abbandonati. Gosaldo, a solo 4 chilometri da Frassenè, divenne per me un luogo apocalittico.

Il 4 novembre del 1966 è passato alla storia soprattutto come il giorno dell’alluvione di Firenze e gli angeli del fango diventarono il simbolo dell’Italia in ginocchio. Ma non fu soltanto Firenze. Fu anche il Po. Furono le montagne. E, per noi, fu Venezia. La città è letteralmente disseminata di pietre, targhe e scritte che indicano visivamente il livello record raggiunto dall’acqua alta in quel giorno.

Sono trascorsi 50 anni e a volte sembra di essere ancora a quel lontano 1966, con l’impressione che non si sia mai affrontato il problema alla radice. Certo, c’è il MOSE, che proprio in questi giorni alcuni accusano di essere incapace a proteggere la città. Un MOSE di certo più conosciuto per lo scandalo senza precedenti della corruzione elevata a sistema – proprio in queste settimane si sta celebrando il processo. Quel MOSE le cui paratie si fatica a collaudare perché non vogliono sollevarsi come dovrebbero e non si capisce se funzioneranno davvero quando sarà il momento.

Come se non bastasse, sulla scia della polemica per le grandi navi, si pensa a scavare nuovi canali, quando è ormai assodato che il canale dei Petroli, costruito nel 1964, è stato un disastro per l’equilibrio idrodinamico della laguna e una delle concause dell’Aqua Granda e delle acque alte che ogni anno flagellano la città.

Che dire poi del recentissimo smantellamento del Centro Previsioni e Segnalazioni Maree, sciolto e ora alle dipendenze della Polizia Municipale per indimostrate ragioni di razionalizzazione della spesa? Saranno un caso le polemiche sulle recenti previsioni di acqua alta, non proprio azzeccate?

E, per farci ancora più male, citiamo pure lo scioglimento di un istituto antichissimo come il Magistrato alle Acque di Venezia, il MAV, con la scusa che fu complice della corruzione nello scandalo MOSE? Si dimentica forse che le istituzioni sono neutre e che invece sono le persone a essere corrotte?

Uno scenario disarmante, che non fa presagire nulla di buono per il futuro.

Venezia oggi ricorda l’Aqua Granda, un momento terribile della propria storia. Lo fa anche grazie alla bella mostra “1,94 acqua alta. 1966-2016 Ricordi e speranze” organizzata dalla Municipalità di Venezia Murano Burano con la collaborazione di Confartigianato Venezia e di #Veneziamiofuturo e curata da Manfredo Manfroi e Maria Angela Riva.

E pensare che qualche settimana fa un comunicato del comune di Venezia straparlò allegramente di celebrazioni.

Per favore, i disastri non si celebrano. Si commemorano.

(Immagine dell’intestazione: Cameraphoto – Archivio Storico Comune di Venezia, da Wikimedia (pubblico dominio))

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