Presentazione o, piuttosto, "amarcord"?

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La presentazione di Acqua morta alla Feltrinelli di Mestre di qualche giorno fa si è per me rivelata, com’era d’altronde prevedibile, fonte di grandi emozioni. Come poteva non esserlo se in sala c’erano amici che non vedevo da decine di anni? La relatrice Annalisa Bruni, veneziana doc, è stata poi eccezionale, in particolare quando ha letto alcuni brani del romanzo. Insomma, un evento decisamente irripetibile… Ringrazio tutti coloro che lo hanno reso tale, che sono davvero tanti.

Quella di Mestre del 26 febbraio era di Acqua morta la seconda presentazione “di casa” (uso il felice termine che qualcuno mi ha suggerito) dopo quella di Pesaro. Se a Pesaro ci vivo da quasi vent’anni, a Mestre ci sono nato, oltre che vissuto per due decenni, per cui non serve spiegare perché ci tenessi così tanto. Quando l’ufficio stampa di TEA mi ha comunicato che la Feltrinelli di Mestre aveva chiesto se io fossi disponibile a presentare il romanzo presso la grande libreria che occupa l’intero ultimo piano del centro commerciale Le Barche, è come se si fosse chiuso il contatto di un circuito rimasto interrotto da molto, troppo tempo. E ho fatto i salti di gioia…

Urge una doverosa premessa, in stile “amarcord”, altrimenti potrei sembrare un pelo sopra le righe. Dovete innanzitutto sapere che la Feltrinelli di Mestre (aperta anni dopo che sono andato via dalla città) è per me sempre stata una tappa obbligata delle mie scorrerie nel Veneto (gli scaffali della “locale” ancora ne portano i segni), una sorta di roccaforte cittadina contro l’avanzata della barbarie. Sto sconfinando in scontate romanticherie, lo so, ma tant’è: come ripeto spesso negli ultimi tempi, quando mi ricapita? Questo però è nulla. Dovete soprattutto sapere che il cosiddetto centro commerciale Le Barche fino a una ventina e oltre di anni fa, prima della ristrutturazione e del frazionamento, era una delle più note sedi dei grandi magazzini Coin. Costruito a metà anni Sessanta quale felice eredità di un boom economico già in fase di rallentamento, da allora ha sempre caratterizzato l’area di piazzale XXVII Ottobre (dai mestrini meglio conosciuto come piazza Barche per via della presenza antica di un canale, poi interrato). Io ero un bimbo delle elementari e Coin rappresentava una meta ambitissima che ben valeva le insistenze con mia madre per strappare una promessa. Non che fosse poi così difficile convincerla, in effetti… “Andare da Coin” si trasformava in una sorta di viaggio avveniristico dentro un mirabile enorme edificio privo di finestre ed esplorabile tramite le scale mobili, le uniche che avrei incontrato in molti anni a venire. Ricordo con grande nostalgia le ripetute incursioni durante le festività natalizie tra i reparti addobbati con quella felice sobrietà tipica d’altri tempi.

Se il piano interrato di Coin era occupato da un immenso “Pam”, all’epoca “il” supermercato di Mestre, l’ultimo piano, per me quasi inaccessibile, era invece adibito a meraviglioso “Snack Bar Ristorante”, come recitavano le insegne americaneggianti, in cui credo di aver messo piede un’unica volta; ricordo ancora che il cameriere mi portò una prelibatezza per me sconosciuta, per non dire esotica: un toast prosciutto e formaggio. Vabbe’, all’epoca i bimbi si accontentavano di poco, ça va sans dir… Per la cronaca, il “Pam” c’è ancora, al posto dello snack bar c’è invece la Libreria Feltrinelli.

Aggiungo – e chiudo questa lunga parentesi – che Coin, in anni successivi, fu meta pure delle scorribande adolescenziali del sabato pomeriggio insieme con i compagni di classe delle medie e del liceo. Le “vasche” in piazza Ferretto prevedevano rigorosamente una puntata nell’adiacente Coin, per non parlare dell’immancabile tramezzino da Serena o della mozzarella in carrozza in via Allegri. Entrambi i locali sono scomparsi, of course.

Ma vengo al dunque della materia libresca.

Annalisa Bruni, oltre a essere responsabile ufficio stampa, mostre ed eventi della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, è scrittrice di racconti fulminanti, del recentissimo romanzo scritto a quattro mani con Stefano Pittarello Langenwang ovvero Il disastro della puntualità, curatrice di antologie e di corsi di scrittura creativa (ecco una breve scheda su Annalisa). Ma, soprattutto, è veneziana e vive a Mestre, per cui era la persona ideale per parlare del commissario Aldani il quale, come è noto, a Mestre vi nacque…

Con Annalisa l’intesa è stata immediata, come se si trattasse di una vecchia amica ritrovata. Quando si dice il caso…

Indicando la sua copia di Acqua morta martoriata da decine di post-it gialli, ha insistito perché fossi io a leggere alcuni brani che lei aveva selezionato, ma mi sono categoricamente rifiutato, per vari motivi, non ultimo il sospetto che avrei dato un misero spettacolo. Ho fatto benissimo! Perché Annalisa, con quel suo leggero accento veneziano, ha dato un tocco di irraggiungibile perfezione alle letture.

Ne ha letti molti, ma citerò soltanto un breve passaggio, e fra poco capirete perché.

Aldani non era un veneziano doc. Era nato e vissuto in terraferma, a Mestre, in una delle tante villette anni Cinquanta delle zone residenziali, col baretto in fondo alla via dove d’estate comprare i ghiaccioli a trenta lire da sorbire per strada, sotto il sole cocente del primo pomeriggio che crepava l’asfalto. Le case mono o bifamiliari si alternavano a brutti palazzoni di quattro piani, circondati da vialetti di ghiaia invasa da erbacce, coi garage nati per le vespe e le lambrette, ormai troppo stretti e corti per le macchine.

Dopo averlo letto Annalisa mi ha chiesto quanto ci fosse di autobiografico. «Tutto» ho risposto, perché in effetti è così, almeno nel caso del brano in oggetto. «E c’è una persona tra il pubblico che può testimoniare che è tutto vero» ho aggiunto e nel dirlo ho lanciato uno sguardo all’ultima fila dove M., amico d’infanzia, tentava inutilmente di nascondersi. Io però gli occhi lucidi li ho visti lo stesso, ne sono certo, perché erano uguali ai miei. Non lo vedevo da più di quarant’anni, M., ed è stato proprio grazie al romanzo e alla bella recensione di Nicolò Menniti Ippolito, apparsa il 18 dicembre sui quotidiani locali La Nuova di Venezia, Il Mattino di Padova e La Tribuna di Treviso, che ci siamo ritrovati. Il lettore deve sapere che è proprio M. il fortunato proprietario della macchina da scrivere che ho citato nel “secondo movimento” del Come e perché su questo stesso sito. Quando si dice il caso…

Cito qui, per evitarvi la fatica, le immagini salienti di quelle che ho definito ossessioni, risalenti, in questo caso, agli anni ’60 e ’70:

Le prime dieci pagine del mio primo romanzo, scritte per benino, […] con la macchina da scrivere di un amico.

Il giornalino di quartiere (della via…) realizzato sempre con la macchina da scrivere di quel mio amico (privilegiato, lui).

Cito anche questo:

La tessera della fantomatica agenzia segreta fatta tutta a mano da me medesimo (avevo 6 anni) ritagliando la copertina di un quaderno e attaccandoci dei fogli con lo spago. Rilegatura filo refe?

Ecco, quella tessera ancora la conservo. E, ma l’ho scoperto soltanto pochi minuti prima della presentazione, anche il mio amico M., il quale, dopo un interminabile abbraccio, ha con noncuranza tirato fuori dal taschino il suo esemplare. Occorre che aggiunga altro? Certo, che se a ogni presentazione rischio l’infarto…

Che quel brano letto da Annalisa fosse “tutto vero” me lo avrebbe poi confermato, in privato, una ex compagna di liceo che ho rivisto, anche lei, dopo tantissimi anni, e che inaspettatamente ho scoperto conoscere benissimo la topografia delle vie di Mestre vicino a dove abitavo, complice l’amicizia con le figlie di una compagna di scuola di mia madre, amicizia di cui ero ovviamente all’oscuro. Quando si dice il caso…

Ah, non l’ho detto, ma la presentazione è diventata occasione di una nutrita “reunion” della quinta B liceo scientifico, classe ’78/’79, tutti ex compagni che non vedevo dai tempi della maturità, subito dopo la quale mi sono trasferito. Ora capite perché non me la sentivo di leggere in pubblico…

Mi rendo conto che dei contenuti libreschi della presentazione ho raccontato ben poco, ma ormai il danno è fatto e la chiudo qui. Voglia perdonarmi il lettore, mi sono fatto prendere la mano. D’altra parte, quando mi ricapita?

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